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martedì 17 aprile 2018

Sangue, Patriarcato, Mansplaining

Giovedì alle cinque e mezza, nella mia sede di lavoro a Mordor una professoressa, che chiameremo Melisandre, sta per fare un talk. E' da un po' che lavora con noi, e ammetto che non mi è particolarmente simpatica. A dire il vero non lo è quasi a nessuno. Forte dell'essere professoressa a (per salvaguardare la sua privacy non scriverò il nome dell'università, ma dirò un generico "Oxbridge") spesso è arrogante, supponente, e critica il lavoro degli altri. 

Tuttavia, anche se io non sono una gran fan della gente, decido che voglio darle una seconda possibilità. Prima del talk le chiedo di che cosa parlerà, e lei risponde:
"Sangue" 
Io rabbrividisco un po', e dico con un mezzo sorriso che ho il TERRORE del sangue.
"Ah, a me piace. Adoro il color rosso sangue" dice Melisandre, ma senza sorridere, in quel modo che fanno i Tedeschi e che rende impossibile distinguere una persona ironica da una che ti accoltellerà senza motivo in una fredda sera d'inverno e poi getterà il tuo corpo in una buca in giardino.
"sprft" rispondo io, terrorizzata a questo punto di dire qualcosa che potrebbe farla arrabbiare. 
"Parlerò di sangue mestruale" specifica lei.
E a quel punto io subito mi sento più interessata, e penso che potrei raccontare anche a lei, come faccio con tutti rendendomi assolutamente impopolare, della mia coppetta.

Purtroppo però non c'è tempo perché il talk sta per iniziare. Mi siedo assieme al resto dell'audience, una ventina dei colleghi del mio gruppo di ricerca (che chiameremo per semplicità Dothraki), molti appena arrivati perché è l'inizio del semestre. 
In breve mi accorgo che il talk è effettivamente interessante: analizzando testi religiosi, fa praticamente una lunghissima e straziante storia del mansplaining. Divinità, santi e sacerdoti che sprecano carta inchiostro e tempo per dire che le donne mestruate sono impure, sono peccatrici, no forse non lo sono, ma comunque devono stare lontane dal tempio, o almeno chiuse in casa, o forse in isolamento.


Mentre la professoressa continua asettica il suo talk, senza mai menzionare femminismo o patriarcato, io chiudo gli occhi e sogno di salire sul tavolo interrompendo tutti con un'appassionata lettura di "If Men Could Menstruate" di Gloria Steinem.

Prima che io possa dire qualcosa, però, davanti ai miei occhi si compie una scena talmente surreale che devo darmi un pizzicotto per chiedermi se non sono per caso finita in uno di quei tweet ironici sul femminismo ripubblicati da Buzzfeed:

Tre, quattro uomini dell'audience si mettono ad interromperla, ad aggredirla verbalmente, a dire che la sua metodologia non è corretta. Uno le spiega anche quali sono le letture femministe di un determinato testo sacro.

Faccio una fotografia mentale e mi rendo conto di stare assistendo all'epitome di tutti i mansplaining: uomini che interrompono un'esperta per spiegarle il loro punto di vista su una cosa che LETTERALMENTE riguarda le vagine.


Anche se la scena ha un qualcosa di affascinante, un po' come guardare delle formiche che divorano una cavalletta, decido che devo porre fine a questo patetico teatrino.
Penso di mettermi ad improvvisare un tip tap, ma poi decido di alzare la mano e chiedere apertamente se posso cambiare argomento, faccio una domanda sul gender e aggiungo come battuta che i testi sacri sul sangue mestruale sono un po' un manuale di mansplaining lungo duemila anni.
Quasi nessuno ride.

La mia domanda calma un po' la situazione, ma presto i Dothraki, uomini e anche qualche donna, ricominciano a fare dei commenti molto negativi dicendo sostanzialmente a Melisandre che il suo lavoro può pure usarlo al posto delle supposte di glicerina per la stitichezza.

Melisandre, come facile da immaginare, se ne va offesa.

Il giorno dopo io e alcuni colleghi ci vediamo per discutere di questo talk. Io non sollevo la questione, visto che nel mio gruppo di ricerca non c'è proprio tantissima gender equality e non sempre le mie mozioni vengono accolte bene. Giusto per fare una piccola digressione, recentemente io ed una collega (io la più giovane tra i postdoc, lei la più giovane tra i professori, entrambe donne) abbiamo organizzato un workshop che è andato bene. Un collega (uomo) si è complimentato con gentilezza e io sono stata molto contenta. Poi però ha aggiunto che il workshop è stato un successo perché noi, essendo donne, abbiamo un "gentle touch": siamo amabili nel parlare con gli invitati, abbiamo organizzato tutto con meticolosità e siamo sempre state diplomatiche. Per il collega era un complimento, ma la cosa mi ha fatto rimanere male, perché l'ho vista come un togliermi importanza, non voler riconoscere il mio contributo intellettuale, visto che non ha neanche mai menzionato il mio lavoro accademico nel workshop. E temo che spesso nel mio ambiente di lavoro essere donna si riduca a questo: avere un "gentle touch" ma non essere davvero considerata all'altezza dei colleghi maschi. 


Ma torniamo a noi. Una collega, che chiameremo Brienne of Tarth, fa notare che il modo in cui Melisandre è stata trattata è inaccettabile, e spiega anche che è un problema di gender.

Io prontamente dico in modo composto che sono d'accordo, ma dentro di me sto urlando "Si! Sorella! Dammi il cinque! Finalmente non sono più la sola a far notare che i mattoni di quest'edificio non sono cemento ma cellule di patriarcato! Uniamoci e sconfiggiamo tutte queste (metaforiche e non) salsicce che ci stanno attorno!" 

Nella nostra storia, però, non c'è nessun plot twist. I colleghi uomini non vedono un problema.

Uno, che chiameremo Ned Stark, dice che non è vero che si tratta di sessismo, Melisandre è stata attaccata da molte persone tra cui anche delle donne. Giustamente Brienne fa prontamente notare che un sistema patriarcale coinvolge anche le donne: non è infatti strano che siano proprio le donne ad essere stronze con le colleghe. Nel nostro caso, però, erano stati un gruppo di uomini ad iniziare questo linciaggio accademico ed alcune donne si erano accodate perché, probabilmente, sentivano in qualche modo di poter entrare in questo gruppo testosteronico prendendosela con la vittima sacrificale di turno.

Un altro, che chiameremo Petyr Baelish, dice che è Melisandre ad essere troppo sensibile ed emotional. La gente ha criticato ed attaccato il suo lavoro, non lei. Perché prendersela sul personale? Io ho pensato ai mesi, gli anni che ci vogliono a mettere assieme una presentazione accademica, la passione nel difendere certe tesi, e l'idea che il tutto venga distrutto in un talk di un'ora è desolante quanto un gattino cucciolo solo sotto la pioggia. Poi mi ricordo anche che Petyr ha organizzato un workshop sulle emozioni, che sono praticamente SEMPRE associate alla sfera femminile, e l'80% di speakers erano uomini. Mi sono limitata a far notare che al meeting c'erano molti colleghi nuovi, la maggioranza donne, che sono rimaste mute e sconvolte a guardare la scena del più grosso mansplaining di sempre e ora credo siano tutte a casa ad aggiornare i CV.  

Un altro, che chiameremo Stannis Baratheon, dice che Melisandre se lo meritava, perché è stupida, nonostante tutti i suoi titoli, l'esperienza, ed Oxbridge. Dice che è solo una casualità che fosse una donna attaccata da un branco di Dothraki uomini. Io faccio notare che a parti invertite la cosa avrebbe probabilmente avuto dei toni molto diversi (francamente, non ho mai visto un gruppo di donne dire con arroganza allo speaker uomo che la sua ricerca è insignificante). Aggiungo che, se anche non fosse una questione di gender, le critiche vanno benissimo ma devono essere fatte in modo costruttivo e con rispetto, non come una pubblica esecuzione. 

Un altro, che chiameremo Robert Baratheon, a quel punto interviene e dice che lui è d'accordo con Stannis Baratheon. Dice che è stufo del politically correct, a lui piacciono dei dibattiti accesi in cui le persone vengono messe alla gogna. E gli piace soprattutto in questo caso, perché Melisandre è una stronza boriosa che era stata sgarbata con altri in passato.

Io dico che questo modo di risolvere i problemi non è un comportamento maturo, secondo me. Se Melisandre in passato non si è comportata bene bisogna parlarne con lei, non umiliarla pubblicamente in un branco di Dothraki e soprattutto non scendere al suo livello. Incredula di essere proprio io a difendere una persona che prima o poi mi ucciderà con un'ombra maligna e mi getterà in un pozzo per godere del colore del mio sangue, dico che il politically correct è a mio parere il modo migliore di risolvere i problemi. Mi rivolgo direttamente a Robert, che ha tre figli pre-adolescenti: "se un bambino picchia uno dei tuoi figli, tu certamente non consiglierai a tutti e tre di allearsi e andare a menarlo"

"Oh certo" ha detto lui "Io insegno ai bambini che se uno picchia l'unica soluzione è picchiare più forte"

E quindi niente, lì ho capito che la guerra è ancora tutta da giocare, ma questa battaglia l'ho persa.

Così ho passato il resto della giornata a bere Coca Cola davanti allo specchio dicendo a me stessa: "Non riesco a credere che io debba spiegare a gente plurilaureata perché essere degli stronzi è sbagliato"
(che in Inglese suona meglio: "I cannot believe I have to explain people why being a total moron is wrong") 


E poi, mi sono ricordata che Melisandre nella sua presentazione aveva anche detto che in alcune culture, per esempio presso i Cherokee, le donne mestruate sono considerate sacre e magiche, in grado di controllare gli elementi e le persone. Ce la possiamo ancora fare, sorelle. 

mercoledì 4 aprile 2018

La Biblioteca dei Bradipi


Sono orma settimane che sto nella mia caverna. Ogni tanto guardo il cielo grigio di Mordor dall’uscita rocciosa, a volte mi capita di veder volare un Nazgul. Ho la pelle ormai squamosa, se ci fosse luce probabilmente mi vedrei grigia, come le pareti della caverna. Sono sicura di essere in grado di parlare, ma è da tanto che non sento il suono della mia voce.

Ma ormai il giorno è arrivato. Ho finito il mio libro

(Lo so, lo so, la parola “libro” desta subito ammirazione. Come Piccole Donne! Come Jane Eyre! Come l’Amica Geniale! No. E’ un libro accademico, di cui mi daranno il 5% delle vendite. A giudicare da quanto mi aspetto che venda, farei forse meglio a chiedere cinque euro ai miei genitori)



Sto scribacchiando le ultime righe, quando con terrore mi accorgo di una cosa. Devo consultare un libro per una citazione. Mi infilo veloce il cappello verde di Robin Hood e cerco di scoprire se il libro esiste da qualche parte in rete, fino a rendermi conto velocemente che ho solo una soluzione:

Andare nella biblioteca dei Bradipi.




Esco nella nebbiolina di Mordor, una lieve pioggia mi bagna le squame sul viso. A testa bassa e cercando di respirare mi avvio verso la giungla dei Bradipi, pronta ad affrontare ancora una volta la burocrazia crucca.

Arrivo sorridente al banco della biblioteca, dove un Bradipo mi saluta cortese.

“Non puoi portare quella” dice, indicandomi la borsa.
Certo, mi dico. Hanno paura che io rubi un libro sui cocci di terracotta trovati a Vaffanculandia del secolo terzo prima della nascita di Cthulhu.

(In alcune università per questo motivo gli studenti girano con borse trasparenti, ammesse nelle biblioteche. Prima o poi vorrei passare un pomeriggio all’entrata di queste università e vedere quanti giornaletti porno, mutande usate, vibratori, assorbenti, spillette dell’Afd, copie del libro di Trump riesco a vedere)

Chiedo al Bradipo dove posso lasciare la borsa, e lui mi indica un vago punto nel corridoio.

Arrivo davanti ad una fila di coin lockers. Sono quasi tutti presi, ma ne trovo uno minuscolo libero. Apro, prendo computer e un paio di altre cose dalla borsa, e provo a richiuderla.
Non si chiude.
Mi accorgo che bisogna metterci dentro la monetina come i carrelli dell’Esselunga.
Ma i cinquanta centesimi non vanno bene. Neanche un euro. Ce ne vogliono DUE.

Senza scoraggiarmi, rimetto tutto in borsa, prendo la borsa, e torno dal Bradipo della biblioteca a chiedere dove posso cambiare i soldi. Mi indica vagamente un bar di fronte, da cui escono degli strani fumi mefitici.

Entro al bar, faccio la fila e mi trovo davanti ad un Bradipo, che mi chiede gentile cosa voglio
“Cambiare i miei soldi” dico con un sorriso.
Il Bradipo mi indica lentamente con la lunga unghia un cartello piccolissimo vicino alla cassa che dice “noi non cambiamo i soldi”

“Prendo un caffè allora” dico in fretta.
Il Bradipo fa un cenno al collega, che si mette a girare in un calderone acqua, caffè, latte, scorie radioattive, melma, e persone tritate. Mi pone poi un beverone fumante che esala gli stessi odori dei canali di Venezia.
“Posso berlo in biblioteca?” chiedo io, sapendo già quale sarà la risposta.
Il Bradipo sta ancora scuotendo la testa in un “no” mentre io mi metto in un angolo a sentire la brodaglia calda che, bruciante, mi scende nello stomaco, tenendo ben stretti i miei due euro di resto.

Vado al coin locker, infilo la borsa, tiro fuori il computer ed altre cose, infilo i due euro, e chiudo. Il Bradipo della biblioteca, però, ha ancora qualcosa da obiettare.
“La giacca”
“Bella vero? L’ho presa con i saldi, ultima moda a Barad-dûr…”
Da come oscilla il capo, comprendo che vuole che me la tolga.
Perché chiaramente sarà pieno di gente che il libro sui cocci di Vaffanculandia se lo mette sotto la giacca. Oppure è scritto nelle Sacre Procedure e, violandole per farmi entrare con la giacca, il bradipo potrebbe morire.

Torno al coin locker, apro, spingo dentro la giacca, pressandola bene negli angoli polverosi tenendo nel frattempo computer ed altri oggetti sotto l’ascella, chiudo bene con una liana e torno dal Bradipo della biblioteca.

Mi chiede il tesserino, che passa lentissimamente sotto uno scanner.
“Devi restituire un libro. Sei in ritardo” sentenzia.
Al che mi vengono in mente le email in Tedesco che ho ignorato mentre ero nella mia caverna a scrivere. So di aver sbagliato, ma ci pensa il destino a punirmi: il libro è chiaramente nel coin locker.

Dopo un altro viaggio per il corridoio, torno dal Bradipo della biblioteca con il computer sotto un’ascella, la penna in bocca, il bloc notes in testa, e il libro sotto l’altra ascella.
“Ecco il libro” dico.
Il Bradipo mi guarda in silenzio, per poi dire, lentamente “sono cinque euro”
Rimango stupita. Non dalla multa che, in Germania, mi sembra perfettamente normale. Ma dalla compostezza del Bradipo. Io ho mancato di rispettare le SACRE LEGGI DELLA BUROCRAZIA e lui non mi dice nulla? Mi lascia andare così, senza farmi sentire una nullità, un’idiota, un pericolo vagante per la società perfetta?


Gli porgo velocemente i cinque euro scusandomi a mezza voce per la mia stupidità, in modo preventivo.
Il Bradipo increspa lentissimamente le labbra in un sorriso, e mi indica La Macchina.
Al che capisco perché non ho avuto nessuna punizione verbale: il sistema ha già trovato un metodo per punire i traditori della biblioteca.

La Macchina serve per pagare le multe sui libri che molti studenti usano per scrivere le loro tesi. C’è però un paradosso di fondo: per usare La Macchina bisogna già aver scritto una tesi ed avere almeno un dottorato.
Serve infatti inserire una stringa numerica che fa invidia a Fibonacci che va dedotta da un foglietto unto che il Bradipo si era probabilmente messo nel naso poco prima di darmelo.
Io, fortunatamente, un dottorato ce l’ho e così riesco a comprendere il funzionamento de La Macchina e ad inserire i cinque euro al suo interno. Dietro di me nel frattempo si forma la fila, ma nessuno sembra preoccuparsene, perché sono tutti Bradipi e sanno fare le cose con calma.

Torno dal Bradipo e gli mostro trionfante la ricevuta che mi ha dato La Macchina.
Per la prima volta mi sembra soddisfatto, e mi lascia entrare nella biblioteca, passando sotto al metal detector che chiaramente serve a scovare chi tenta di rubarsi una vergine di ferro dalla sezione medievale.

Mi inizio ad aggirare tra gli scaffali, con il computer sotto l’ascella e tutto il resto. Saltello su delle ninfee, aggiro delle paludi, mi arrampico su delle palme finché, finalmente, davanti a me, si erge il libro che mi serve. Lo afferro mormorando “il mio tessssoro!” e facendo cadere il bloc notes che stava sotto l’ascella, quando mi accorgo di un problema:

Per prendere il libro dovrò tornare dal Bradipo e ricominciare un’altra trafila burocratica per il prestito.

Mi guardo in giro, sento il bisogno impellente di avere una borsa per infilarci il libro, un cappotto, un qualcosa che mi permetta di portarlo fuori di nascosto.
Sospiro tristemente: i Bradipi con le loro regole sono stati più furbi di me.
Guardo con invidia il superciccione che sotto il maglione potrebbe nascondere tutta la treccani e la ragazza Musulmana che sicuramente può infilarsi tutti i Testamenti sotto il velo.

Ripromettendomi di ingrassare o convertirmi, decido di consultare il libro in loco, sedendomi nel sottobosco. Dopo una decina di minuti la trovo, la citazione che mi serve, apro febbrilmente il computer mentre un paio di Orchi mi scavalcano per gettarsi in una palude fangosa.
Ma io non ci faccio caso, perché con trionfo inserisco l’ultimo numero di pagina nel file e il mio libro è finito.

E’ tempo di salutare il Bradipo e uscire, sentendomi non più un mostro grigio ma una bellissima falena (sempre grigia, eh, perché non è che a Mordor ci siano i colori).
Ah, sospiro, finalmente posso godermi un po’ di vacanze, lontano da Mordor, lontana dai Bradipi.






“Il volo per l’Italia è in ritardo di un’ora perché sull’aereo da Manchester c’era un hooligan che ha votato Brexit e che si è messo a fare cose che l’hanno portato all’arresto, quindi ora i voli sono tutti ritardati, come vogliono le Sacre Procedure” mi dice, sorridente, il Bradipo dell’aeroporto.
Ma questa è un’altra storia.